Tanto per chiarire / Just to make it clear


Tanto per chiarire / Just to make it clear

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giovedì 19 maggio 2011

Oggi ho capito l'intolleranza

Ho spesso citato il paradosso di Karl Popper sulla tolleranza: "se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi. Per questo – avverte Popper – noi dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti".

Stamattina ho compreso l'intolleranza nei confronti -ad esempio- del burka, del velo islamico o di simili espressioni cultural/ideologico/religiose.

Ho visto in strada una donna, vestita da 'suora laica' con sandali aperti alla francescana, abiti di un colore blu neutro atti a nascondere eventuali forme, pettinatura intenzionalmente non piacente sebbene ordinata... ed il crocifisso al collo.

Non faceva nulla di male, non stava facendo proselitismo, ma tutto nel suo aspetto e nel suo atteggiamento era una esplicita e netta presa di posizione.

Una presa di posizione che mi ha infastidito per come veniva sbandierata in strada.

Il principio della democrazia partecipativa dello scorso secolo, implicava che ci si riconoscesse tutti nello stesso stato/nazione/comunità all'interno del quale si decideva in base all'opinione dominante espressa nelle votazioni (elettorali, referendarie...) ma nel rispetto delle opinioni minoritarie.

Si faceva però tutti parte della stessa 'chiesa': quella della democrazia e del proprio Paese.

Lo sbandierare un'identità altra, diversa e che apertamente rifiuta alcuni dei principi fondanti di quella comune (a partire dall'equivalenza di posizioni ideologicamente diverse, quali l'appartenenza ad una od ad altra religione o la non appartenenza ad alcuna) è un atto dialetticamente aggressivo nei confronti dell'identità comune. È un atto di intolleranza nei confronti di chi non ha le tue stesse convinzioni e nei confronti del principio stesso di equivalenza delle diverse convinzioni.
L'enfasi viene posta sull'alterità, sulle differenze, anziché sugli elementi in comune. Su ciò che si rifiuta negli altri, anziché su ciò che con gli altri viene condiviso.

Mi ha dato fastidio l'estetica di una suora laica, ma avrebbe potuto essere l'atteggiamento estremo di alcuni ecologisti (con i quali sono principalmente d'accordo), il gagliardetto di un partito esposto in un'occasione mondana, o persino il gagliardetto di una squadra di calcio appiccicato sulla macchina.

Sia chiaro: lungi da me l'idea di voler proibire simili espressioni, ma il fastidio che ho provato mi ha fatto capire l'avversione diffusa nei confronti di determinate espressioni di alterità rispetto all'identità comune o di accoglienza.

Diciamo che il velo islamico o abiti tribali africani o andini, himalaiani, o il kilt scozzese, i lederhose bavaresi... non mi danno alcun fastidio (al contrario mi interessano ed incuriosiscono) sinché considero chi li indossa un turista, o qualcuno di passaggio. Li trovo sgradevoli nei residenti. Li trovo un'espressione di rifiuto nei confronti di chi condivide con te gli stessi spazi, le stesse istituzioni...

Un rifiuto di cui non c'è alcun bisogno e che offre il fianco a chi reagisce invitandoti -se non ti piace il posto e la sua cultura- ad andartene.