Tanto per chiarire / Just to make it clear


Tanto per chiarire / Just to make it clear

Più che un blog questo è un diario di appunti, dove spesso mi segno e rilancio articoli ed opinion interessanti trovate in giro per la rete.

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This is a notebook -not really a blog- where I often relaunch interesting stuff I find roaming on the net.
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This is just a silly legal note to state that this (SURPRISE! SURPRISE!)
is not a newspaper or a news publication whatsoever.

sabato 27 giugno 2015

Smettere di lavorare

Articolo originale

8 mosse per 'smettere di lavorare', arriva il vademecum

In un manuale le dritte del blogger Francesco Narmenni

TENDENZE
8 mosse per 'smettere di lavorare', arriva il vademecum
Isole Canarie (Infophoto)
Risparmiare, raggiungere l'indipendenza energetica, guadagnare attraverso le proprie passioni. Così possiamo dire basta a una vita dedicata a lavorare per consumare. Come spiega Francesco Narmenni blogger e autore di 'Smettere di lavorare' (Il Punto d'Incontro), "manuale pratico per liberarsi dalla schiavitù del lavoro e vivere veramente la vita, sfruttando il bene più prezioso che ognuno di noi possiede: il tempo".
"Una giornata senza lavorare è qualcosa di incredibilmente emozionante, soprattutto se è un lunedì mattina di mezza estate. Una settimana senza capi incompetenti che si auto-eleggono a maestri di vita e ci obbligano a rispettare scadenze impossibili è a dir poco inebriante, ci si sente così liberi e forti che si vorrebbe urlare al mondo: 'Sveglia, questa è la vita, ribellatevi!'", dice all'Adnkronos Narmenni che dopo aver lasciato il suo lavoro vive, tra l'Italia e le isole Canarie, con 500 euro al mese, guadagnando grazie alla sua passione per la scrittura e la musica.
Ecco il suo vademecum: "Porsi l'unica domanda. Siamo talmente abituati a correre senza sosta, lavorare continuamente, produrre e acquistare, che non ci passa mai per la testa di fermarci un istante e porci la più basilare delle domande: 'Sono felice?'", dice Narmenni. Se "stiamo solamente buttando al vento i nostri giorni, in un'inutile corsa che non porta da nessuna parte, se non a una vecchiaia di rimpianti e a una morte che si lascia alle spalle una vita insipida" allora "possiamo cambiare e trovare un modo per lasciare il lavoro e la pazzia del consumismo, vivendo finalmente liberi".
Secondo passaggio: "Fare il bilancio familiare. Per capire quanto ci serve per vivere perché il percorso che ci porterà a una vita libera non è un salto nel buio ma frutto di un'attenta pianificazione", spiega. Ecco come: "Cominciamo con l'annotare le spese, capire quali sono le voci che pesano maggiormente sul nostro bilancio mensile, per almeno tre mesi, in modo da avere un quadro chiaro di quanto oggi ci costa vivere e su cosa possiamo tagliare. Alla fine di questa analisi diamoci un obiettivo: per esempio, se per vivere abbiamo bisogno di 1200 euro al mese, proviamo per i successivi tre mesi a vivere con 800, cercando di rinunciare a qualcosa, di tagliare tutto ciò che è superfluo e attuando ogni strategia possibile per economizzare".
Terzo: "Risparmiare su tutto. Il risparmio è principalmente una condizione mentale: ogni volta che desideriamo qualcosa chiediamoci se ci serve veramente, in modo onesto, senza mentire a noi stessi - dice - Così facendo scopriremo che il 90% delle volte possiamo rinunciare a ciò che desideriamo, perché si tratta di sfizi derivanti da bisogni indotti".
Obiettivo: rispettare il tetto di spesa mensile cercando di migliorarlo. "Ogni volta che abbiamo bisogno di qualcosa prima valutiamo se possiamo averla gratis, poi se possiamo prenderla in prestito, barattarla o acquistarla in condivisione con qualcuno che ha la nostra stessa esigenza. Solo alla fine decidiamo di mettere mano al portafogli, cercandola, però, prima usata. Minore è il denaro che ci serve per vivere, meno dovremo lavorare".
Quarto: "Raggiungere l'indipendenza energetica. Per non pagare l'energia elettrica occorre installare pannelli solari, per ottenere acqua calda dobbiamo necessariamente ricorrere al solare termico o ai sistemi geotermici. Per riscaldarci l'ideale è munirsi di una stufa e poi tagliare la legna nel bosco. In alternativa possiamo utilizzare le stufe a pellet - dice - Indispensabile poi tenere un orto, non è necessario che sia grande perché esistono strategie per ottimizzare al massimo gli spazi. Contestualmente serve un freezer capiente dove surgelare la verdura che si produce in estate, come scorta per l'inverno".
Quinto: "Ottenere un guadagno extra. Uno dei passaggi fondamentali per vivere senza essere schiavi del lavoro è ottenere guadagni extra derivanti dalle nostre passioni, in modo tale da poter abbandonare il classico impiego e vivere facendo quello che veramente amiamo", spiega.
Sesto: "Investire il denaro". Per Narmenni, "è di vitale importanza conoscere le basi della finanza, concetti che sono anche piuttosto semplici se spiegati in modo chiaro, ma che ci possono salvare dalle banche, dai consulenti finanziari e da tutti quegli enti che esistono solo perché diamo loro i nostri soldi, credendo che siano esperti e che possano farli fruttare". Insomma "dobbiamo imparare a far crescere gli interessi sui nostri risparmi, perché probabilmente non percepiremo la pensione, pertanto abbiamo la necessità di costruire un piano di sviluppo finanziario solido e autonomo".
Settimo: "Affrontare la solitudine. Fin da piccoli siamo stati abituati a fare, fare e ancora fare: questo non ci ha permesso di sviluppare la capacità di 'bastarci', ovvero rimanere soli a lungo e trovare strade per usare bene il tempo. Se tutti lavorano ci ritroveremo spesso soli con noi stessi, in questo senso è importante costruire passioni forti, progetti ambiziosi e traguardi da raggiungere, in modo tale che il tempo diventi un alleato, non un nemico da sconfiggere", suggerisce il blogger. Insomma dobbiamo "imparare a convivere con la solitudine".
Ottavo e ultimo punto: "Prepararsi per la vecchiaia. Quindi pianificare bene quello che accadrà quando le forze ci abbandoneranno - chiarisce - Dobbiamo ragionare in termini molto pratici, ad esempio comprendere come faremo a riscaldarci se non potremo più tagliare la legna nel bosco e di quanti soldi avremo bisogno per nutrirci se non potremo più coltivare l'orto. Come accennato, poi, sarà necessario elaborare una strategia per costruire una rendita mensile del tutto simile a una pensione, in modo tale da trascorrere in tranquillità gli ultimi anni della nostra esistenza". Per l'autore del libro, "un'ottima strategia, che è già realtà per migliaia di persone, è quella di trascorrere la vecchiaia nelle isole tropicali, dove si può acquistare casa con pochi soldi e dove la vita ha un costo molto contenuto".
Questa la scelta di vita di Narmenni, raccontata anche sul suo blog smetteredilavorare.it, che per ciascuna delle molte inevitabili domande ha pensato a una risposta: "Per ogni tappa qui proposta ho creato una strategia concreta e una soluzione praticabile da persone come me, comuni lavoratori con uno stipendio normale, che sono stanchi di vivere una vita al servizio del lavoro e del consumo".

sabato 20 giugno 2015

La mia generazione di sfigati

Articolo originale

I figli degli anni ’70 potrebbero vincere, ma non sanno lottare

L’intervento


15 Giugno 2015 - 08:30 
 
“Corri ragazzo laggiù
Vola tra lampi di blu
Corri in aiuto di tutta la gente
Dell’umanità”
A tradimento, questo articolo comincia con un test: quanti di voi riescono a leggere i versi riportati sopra senza mettersi a cantare? Molto probabilmente molti degli italiani che sono nati negli anni ’70, cioè che hanno oggi tra i 37 e i 46 anni, non ce la faranno mai a non canticchiare.
A oggi i nati negli anni ’70 sono la generazione più numerosa d’Italia
Partiamo da un po’ di numeri: ad oggi i nati negli anni ’70 sono la generazione più numerosa d’Italia. Secondo i dati Istat, i nati tra il 1970 e il 1979 al primo gennaio 2014 erano 9,47 milioni: praticamente un residente in Italia su 6. La generazione dei nati negli anni ’60 è leggermente più piccola (9,31 milioni), mentre i nati negli anni ’50 sono 7,35 milioni. I nati negli anni ’40 sono 6,32 milioni, mentre i nati prima degli anni ’40 sono 5,92 milioni. Dal lato di quelli più giovani, i nati negli anni ’80 sono 7,15 milioni, mentre i nati negli anni ’90 sono 6 milioni. Infine i nati nel nuovo millennio sono 9,59 milioni, ma naturalmente includono un decennio e mezzo. A mettere i dati in un grafico, vi accorgereste di una forma somigliante a una collina: un paese in cui le persone di mezza età rappresentano il gruppo più numeroso, i giovani sono la generazione più piccola, mentre gli anziani si trovano in una posizione intermedia.
Torniamo al quiz di partenza: per chi non lo avesse capito, i versi scritti sopra sono l’inizio della sigla di Jeeg Robot d’Acciaio, uno dei più celebri cartoni animati giapponesi, cartoni animati che hanno avuto un clamoroso successo in Italia tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Il capostipite fu Goldrake, trasmesso per la prima volta nel 1978 da quella che allora si chiamava Rete 2 (e che oggi si chiama Rai 2), mentre Jeeg fu trasmesso per la prima volta nell’anno successivo.
Sia nel caso di Goldrake che nel caso di Jeeg milioni di italiani possono vivere facilmente un’esperienza proustiana di ritorno al tempo perduto: basta sentire qualche nota delle due sigle per ritrovare il tempo passato: una piccola madeleine televisiva.
In ogni caso, al ricordo non può che associarsi la riflessione: quelli che sono nati negli anni ’70 si sentono ora un po’ una generazione nel mezzo, anche se è difficile definirli “persone di mezza età”. Giovani?  Vecchi? Sicuramente nel mezzo, incuneati tra le due generazioni dei genitori e dei figli che cominciamo ad avere, oppure abbiamo da un pezzo.
È difficile oggi ricordarsi con precisione che cosa si provasse allora nel guardare gli episodi di Jeeg o di Goldrake, di Daitarn 3 o di Capitan Harlock (senza dimenticare cartoni giapponesi più “femminili” come Heidi, Candy Candy, Hello Spank o Lady Oscar). Un dato di fatto è che questi eroi e questi robot passavano il tempo a combattere contro nemici provenienti dal cielo o da sottoterra, e che nel farlo sopportavano patimenti e sofferenze. In termini comparativi si tratta senz’altro di un mondo molto più duro rispetto al mondo tenero ed edulcorato dei concorrenti americani, cioè i cartoni della Disney.
Nei cartoni animati giapponesi con protagonisti i robot un tema cruciale sottostante è quello della lotta generazionale tra i giapponesi nati negli anni ’40 e ’50 in Giappone e i loro genitori, usciti sconfitti e umiliati dopo la Seconda Guerra Mondiale
Come efficacemente raccontato da Marco Pellitteri nel suo saggio Il Drago e la Saetta, nei cartoni animati mecha (cioè con protagonisti i robot) nati sulla carta dei fumetti negli anni ’70 e poi trasposti in forma televisiva, un tema cruciale sottostante è quello della lotta generazionale tra i giapponesi nati negli anni ’40 e ’50 in Giappone e i loro genitori, usciti sconfitti e umiliati dopo la Seconda Guerra Mondiale. I robot sono costruzioni meccaniche per molti aspetti simili a samurai che prendono vita nel momento in cui l’eroe li comanda dall’interno; nel caso di Jeeg l’integrazione è ancora maggiore: il protagonista Hiroshi si trasforma nella testa del robot, il cui corpo si completa con il famoso “lancio dei componenti”. L’eroe in questi cartoni animati è sempre un giovane, tipicamente aiutato da uno scienziato anziano, che lotta per salvare la Terra da un’invasione di nemici malvagi: fuor di metafora, i giovani giapponesi – aiutati dalla tecnologia - risollevano insieme un paese che la generazione precedente ha portato alla rovina attraverso la guerra e il nazionalismo.

Come analizzato da Marco Maurizi, esiste un’ambiguità di fondo nei robot giapponesi, per cui non è chiaro se il nemico sia la generazione precedente che ha voluto combattere e ha perso una guerra, oppure l’Occidente che ha vinto la guerra sia militarmente che culturalmente.
Tornando alla nostra esperienza dei robot giapponesi, un moto spontaneo è quello di ascoltare queste sigle con lo spirito di una generazione che deve lottare e soffrire per ottenere spazio dalla generazione precedente. Di quale spazio sto parlando? Qui si è gente concreta: mi riferisco esplicitamente a denaro e potere, cioè a risorse economiche e potere politico, che sono tuttora appannaggio delle generazioni precedenti.
La figura che vedete sotto è tratta dall’indagine annuale della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane. Guardate l’orripilante divaricazione nei redditi tra chi ha meno di 44 anni e chi ne ha più di 55: altro che brividi proustiani.
Reddito Netto Classi Eta
Avete letto Piketty e siete propensi a dare più importanza alla ricchezza che al reddito? Eccovi accontentati, con lo stesso grafico diviso per generazione ma questa volta riferito alla ricchezza: per chi ha meno di meno 44 anni il tracollo rispetto a chi ha più di 55 anni è ancora peggiore, ed è iniziato prima.
Ricchezza Netta Classi Eta
Finora abbiamo parlato di divisione generazionale della torta del reddito e della ricchezza. Che dire invece della sfera politica? Qui l’obiezione legittima è che leader come Matteo Renzi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono tutti nati negli anni ’70 e sono ai vertici delle rispettive forze politiche. Non solo: un leader emergente come Luigi Di Maio del MoVimento 5 Stelle è persino nato negli anni ’80. Possiamo dunque concludere che – in maniera molto poco marxiana - il ricambio generazionale sia accaduto prima in politica che in economia?
Quali politiche a favore delle generazioni nate a partire dagli anni ’70 avrebbe attuato il governo attuale, capitanato da un Matteo Renzi nato nel 1975? Il bilancio è desolante
Per ora non è il caso di essere troppo ottimisti sulla questione, per due ordini di ragioni. Il primo motivo va sotto il nome di tokenism: questo termine è stato coniato negli Stati Uniti per riferirsi alla falsa impressione che il divario politico tra bianchi e afroamericani sia significativamente diminuito, così come dimostrato dalla presenza di alcune figure apicali come Colin Powell, Condoleeza Rice e da ultimo Barack Obama, che sono invece da considerarsi concessioni simboliche, di facciata. Lo stesso ragionamento può essere applicato al caso italiano, con riferimento alla ripartizione del potere politico tra generazioni: la maggior parte dei politici non appartiene alla generazione Jeeg e a quelle successive.
Il secondo motivo è di carattere sostanziale: quali politiche a favore delle generazioni nate a partire dagli anni ’70 avrebbe attuato il governo attuale, capitanato da un Matteo Renzi nato nel 1975? Il bilancio è desolante: di fatto la principale riforma a favore delle giovani generazioni negli ultimi dieci anni è stata attuata non già dal governo attuale, ma dal governo presieduto da Monti, non esattamente un giovinotto: alla faccia dei succitati Matteo Salvini e Giorgia Meloni, si tratta della riforma Fornero delle pensioni.
Si rendono conto Renzi, Meloni, Di Maio e Salvini del fatto di agire contro gli interessi dei loro coetanei e delle generazioni successive?
Sotto il profilo della ripartizione delle risorse la migliore scelta da parte del governo attuale è stata quella di riconfermare di fatto gli effetti di breve termine della riforma Fornero dopo l’irresponsabile decisione della Corte Costituzionale sul blocco degli scatti per inflazione. Dall’altro lato, il governo Renzi sembra vagamente tentato dall’idea di smantellare la riforma Fornero nei suoi aspetti di medio-lungo termine, cioè reintroducendo prepensionamenti. Bisogna guardare la verità in faccia: ogni aggravio della spesa pensionistica è un colpo ulteriore ai redditi della generazione Jeeg e delle generazioni successive. Si rendono conto Renzi, Meloni, Di Maio e Salvini del fatto di agire contro gli interessi dei loro coetanei e delle generazioni successive?

Dal punto di vista politico e culturale bisogna essere sinceri: la generazione degli anni ’70 non sembra avere una coscienza di se stessa, nonostante alcuni suoi rappresentanti abbiano raggiunto ragguardevoli posizioni di potere. Forse la nostra generazione assomiglia a Fabrizio Salina del Gattopardo, nella sua incapacità di farsi illudere dall’ideologia e dai suoi canti di battaglia per compattarsi e chiedere spazio: sotto questo profilo dovremmo andare a lezione dai sessantottini, oggi ben pasciuti gerontocrati.
A differenza dei sessantottini noi non abbiamo –per fortuna!- canzoni come Contessa: noi abbiamo le sigle dei cartoni animati giapponesi. Non è tanto, ma non è nemmeno poco, è un punto di partenza: un punto di partenza dolente, ritmato e orgoglioso.
Siamo pronti a correre tra i lampi di blu?