Tanto per chiarire / Just to make it clear
Più che un blog questo è un diario di appunti, dove spesso mi segno e rilancio articoli ed opinion interessanti trovate in giro per la rete.
This is a notebook -not really a blog- where I often relaunch interesting stuff I find roaming on the net.
I always try to link correctly the original sources. If anyway you find your stuff and want me to remove or correct it, please let me know at Stef@cutillo.eu
Questo blog, ovviamente, non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità e con molta poca coerenza. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001 e seguenti.
This is just a silly legal note to state that this (SURPRISE! SURPRISE!) is not a newspaper or a news publication whatsoever.
lunedì 3 luglio 2017
Not the right time to be a man
giovedì 15 giugno 2017
sabato 3 giugno 2017
Il Canto degli Italiani
Ridicolo che in Italia si continui a rimettere in discussione inno e bandiera, come se fossimo al televoto di Sanremo!
Sono simboli che hanno senso solo in quanto tali, immutabili, di riferimento.
Un inno è un simbolo di unità. Chi si divide su quale dovrebbe essere non ha capito di cosa si tratti e si dimostra non qualificato per parlarne credibilmente.
Ancora più ridicolo chi vorrebbe un inno operistico, in nome della grande tradizione musicale italiana, ecc. ecc.
Come chiedere di sostituire la bandiera con una riproduzione del Giudizio Universale di Michelangelo.
Per non parlare dei tifosi del "Va' pensiero". Lo so che fu composta come critica metaforica al "faraone" austriaco, ma è un canto di esilio. Che c'entra con l'Italia? Al limite potrebbe essere l'inno degli emigranti!
Infine una considerazione. Tra le tante proposte, dalla Leggenda del Piave (che io amo e uso come suoneria) alla proposta di usare l'intero testo del Canto degli Italiani, al Va' pensiero, si tratta sempre di testi puramente settentrionalisti ed anti austriaci. Come se la Storia d'Italia si riducesse all'annessione di Lombardia e Triveneto strappate all'odiato invasore austriaco ed il resto d'Italia (geograficamente e storicamente) non contasse nulla.
Nei versi dell'Inno Nazionale Italiano (quelli adottati come inno, non la versione completa del Canto) si parla di Italiani, di fratellanza, di orgoglio, di lotta comune e spirito di sacrificio.
In maniera superficiale, non analitica. In maniera tronfia e retorica, come ci si aspetta da un inno.
A me sta bene così.
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Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
https://youtu.be/DeDmsIMwQX8
lunedì 3 aprile 2017
The Debater
https://www.16personalities.com/entp-personality
I go on thinking a well functioning brain is not a blessing, but rather a curse.
Life would be much easier as a stupid instinct-driven animal.
giovedì 28 luglio 2016
6 surprising downsides of being extremely intelligent
6 surprising downsides of being extremely intelligent | Lifestyle | The Independent http://www.independent.co.uk/life-style/6-surprising-downsides-of-being-extremely-intelligent-a7155196.html
lunedì 28 dicembre 2015
Repubblica: Quei piccoli borghi antichi in via di estinzione
Quei piccoli borghi antichi in via di estinzione
ore 12.57 del 9 dicembre 2015
12K
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A partire da Civita di Bagnoregio, all'estremo Nord della Tuscia laziale. Ci si arriva percorrendo un lungo ponte pedonale, perché il paese si trova in cima a un'altura di tufo bianco, e galleggia in mezzo a una valle come un'isola.

Da circa due secoli è abitata solo da una ventina di persone. Le case in pietra circondano la cattedrale, tra balconcini fioriti, vicoletti e arcate con vista sulla valle. A proposito di vista, offre un bel colpo d'occhio l'Hostaria del Ponte, affacciata sul dirupo: provate le ricette della zona, come la pasta acqua e farina.
Restando nel Lazio, a una settantina di chilometri dalla Capitale si trova Cervara di Roma, piccolo comune che segna la porta d'ingresso al Parco Naturale dei Monti Simbruini. Immerso nel verde delle faggete, è affacciato sulla Valle dell'Aniene e sui monti vicini: questo paese era meta prediletta di artisti e stranieri che vi si ritiravano per le sue bellezze naturali. Oggi offre una passeggiata vivace ricca di murales e sculture, tra abitazioni quattrocentesche e tortuose stradine, la caratteristica scalinata che costeggia la Chiesa di S. Maria in Ruvo, la Casa del Capitano, la Torre del Trecento e la chiesa di S. Stefano Protomartire, fino alla fortezza medievale in cima allo sperone, con una vista mozzafiato sulla valle.

All'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, in Abruzzo, troviamo Santo Stefano di Sessanio, un piccolo borgo di origine medievale completamente costruito in pietra calcarea bianca, abitato da un centinaio di residenti, che oggi sta vivendo una seconda vita. Dopo essere stato terra della famiglia Medici, il borgo ha subito un lento ma inesorabile decadimento. Disabitato, lasciato morire sotto l'incuria del tempo e dell'abbandono, è rinato grazie all'idea di un imprenditore svedese che ne ha fatto uno splendido albergo diffuso. Niente è stato cambiato: ogni casa, strada e piazza è stata ristrutturata mantenendo il disegno originario. Si soggiorna nelle dimore d'epoca e si cena nella locanda, gustando piatti poveri della tradizione, come la zuppa di lenticchie servita con quadratini di pane fritto in olio di oliva.

Vicino a L'Aquila c'è Scanno, piccolo centro incastonato fra i Monti Marsicani e il Parco Nazionale d'Abruzzo. Tra le sue strade si trovano i resti di un'antica epoca d'oro: la corte del seicentesco Palazzo Tanturri de Horatio, fontane con stemmi nobiliari, la chiesetta di S. Maria di Costantinopoli con l'affresco della Madonna in trono, Porta della Croce, ricordo quattrocentesco dell'antica cinta muraria. Scanno offre una passeggiata ricca di arte e storie, tra palazzetti nobiliari e fontane barocche, arcate e vicoli incantati, botteghe di artigiani e locande d'antan dove assaggiare sagne e fagioli, maccheroni alla chitarra oppure i tipici cazzellitti con le foglie.
In Umbria è Castelluccio di Norcia, in provincia di Perugia, a sorprendere i visitatori con le sue atmosfere fuori dal tempo. Si trova a una mezzora da Norcia, appollaiato a 1452 metri d'altezza nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, in Valnerina. In un labirinto di stradine che salgono e scendono, si arriva al cuore del centro: attraversando la vecchia fortificazione cinquecentesca, di cui rimane solo un portale, ci si ritrova nella piazzetta della chiesa di S. Maria Assunta, del 1500. Anche la tradizione culinaria fa parte del suo patrimonio storico: accomodatevi alla Locanda Dè Senari o all'Antica Cascina Brandimarte e assaggiate le eccellenze del posto, dal tartufo nero alla lenticchia, i salumi e i prodotti della norcineria, i formaggi, miele, farro e altri cereali.

Vicino a Sanremo, poi, incontriamo Bussana Vecchia, una frazione sulle colline liguri abitata e dinamica fino a fine Ottocento, resa inagibile da una violenta scossa di terremoto nel 1887. Fino agli Sessanta è rimasta abbandonata. A salvarla è stata una comunità di artisti, che l'ha ristrutturata e trasformata in un villaggio creativo e bohemienne. Oggi è una meta turistica vibrante di storia e arte, con mostre di pittura, musica dal vivo, mercatini di artigianato tra i vicoli, letture e proiezioni. Fermatevi all'Osteria degli artisti, il locale più antico del borgo: dalla bella terrazza si gusta il panorama e le specialità della cucina locale.

Più a Nord, nell'Alto Monferrato, su uno sperone roccioso alla sinistra del fiume Orba sorge Rocca Grimalda (Alessandria). Il borgo si sviluppa intorno al maestoso Castello Grimaldi, del Duecento, caratterizzato da una torre circolare a cinque piani che domi- na l'ampia valle dell'Orba. Dagli anni novanta questo piccolo centro vive un periodo di rinascita e turismo, grazie al suo fascino decadente e agli ottimi vini locali, tra cui il Dolcetto di Ovada e il Barbera del Monferrato, che invitano a percorsi enogastronomici tra le tante cantine di zona.
Dalla parte opposta dello Stivale, scendendo in Basilicata, il piccolo borgo di Castelmezzano (Potenza) dà il benvenuto sulle Dolomiti Lucane. Disteso su una parete di guglie e rocce, ha conservato la struttura originaria medioevale. Le case, con i tetti in lastre di pietra arenaria, sono circondate da scale ripide che invitano ad arrampicarsi in cima al centro storico. Passeggiando tra i palazzi gentilizi del borgo sono da vedere Chiesa Madre di S. Maria, del XIII secolo, la Cappella di S. Maria, la chiesa rupestre della Madonna dell 'Ascensione scavata tra le rocce, i resti del fortilizio normanno-svevo e il cimitero prenapoleonico.
Quindi, Morano Calabro, alle pendici del Pollino, uno dei centri storici più suggestivi della Calabria. Le architetture medievali e rinascimentali si fondono alle bellezze della natura: la pietra degli archi, dei torrioni e delle case si mescola con i monti circostanti e crea una cartolina che ricorda un vecchio presepe con le casette con i tetti rossi e i vicoli stretti che salgono al castello. Molte le soste storiche: la Chiesa di S. Bernardino da Siena in stile tardo-gotico è un esempio di architettura monastica quattrocentesca, il Castello di origine normanna, l'antica Collegiata dei SS. Pietro e Paolo, e il Convento dei Cappuccini, con l'austero chiostro seicentesco. Per le viuzze del centro gli odori della cucina invitano a entrare nelle trattorie tipiche per una degustazione di prodotti e piatti locali, come i rascateddri, maccheroni con sugo di salsiccia e il tradizionale stoccu e pateni, stoccafisso con patate e peperoni secchi.
martedì 22 dicembre 2015
Un articolo de LinKiesta sui villaggi e luoghi abbandonati in Italia.
(Nel testo anche il link al blog "Paesi fantasma")
Nel Paese delle città fantasma
L’Istat ne ha censite 6mila. Sono posti dove non abita più nessuno e che rischiano di morire ancora
Quando il 15 ottobre del 2000 il cuore di Teodora Lorenzo, detta zia Dorina, cessò di battere, il borgo di Roscigno vecchia, nell’entroterra salernitano, concluse la sua storia secolare. Con zia Dorina se ne andava l’ultima presenza umana del posto. Roscigno diventava un paese fantasma.
Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, i paesi fantasma in Italia sono circa un migliaio, se si escludono stazzi e alpeggi, altrimenti si sale a 6mila. In Spagna ce ne sono circa 4.500. Negli Stati Uniti se ne contano fino a 15mila. «Il termine ghost town è stato coniato dal giornalista svedese Jan-Olof Bengtsson durante una visita alla città di Varosha a Cipro», spiega Fabio Di Bitonto, geologo e fondatore del sito “Paesi fantasma”. «Sono posti che agli occhi del visitatore appaiono come fantasmi, figure sfocate di quello che erano prima». Tutto in queste cittadine è rimasto fermo, non si sente nessuna voce e non si incontra più nessuno.

(Roscigno)
Il giornalista napoletano Antonio Mocciola nel suo ultimo libro Le belle addormentate ha ritratto 82 delle città fantasma italiane, dall’Alto Adige alla Sicilia. Dopo dieci anni di viaggi in posti dimenticati da tutti, ha creato una sorta di guida per luoghi che nelle guide tradizionali non ci sono più, con tanto di foto e indicazioni per raggiungerli.
Ogni paese nasconde la propria storia, ma ogni zona d’Italia ha i suoi motivi di spopolamento. I vecchi alpeggi, ad esempio, sono stati abbandonati con il boom economico del secondo dopoguerra preferendo condizioni di vita migliori e più comode. Ci sono borghi abbandonati perché troppo isolati; altri perché distrutti da continui terremoti, frane e alluvioni; altri ancora spopolati dopo la morte di tutti gli abitanti. Come Galeria, alle porte di Roma, falcidiata da un’epidemia di malaria. Ci sono anche ragioni economiche, però: è il caso dei villaggi minerari in Sardegna, abbandonati dopo la chiusura delle attività estrattive, o della singolare storia di Consonno, ex borgo medievale raso al suolo per farne una Walt Disney della Brianza e poi di nuovo abbandonato a sé stesso.
«La causa principale dell’abbandono sono i disastri climatici e gli eventi naturali», racconta Antonio Mocciola. «Molti paesi sono stati abbandonati perché diventavano scomodi da vivere». Frane, smottamenti, terremoti rendevano il territorio inospitale e pericoloso. Lungo l’Appennino, che è «l’osso dell’Italia», in particolare tra Basilicata, Campania e Calabria, il terreno friabile ha isolato e continua a isolare intere comunità. «Fino agli anni Cinquanta le popolazioni hanno resistito», spiega Mocciola, «poi le tentazioni delle valli, le maggiori offerte di lavoro e gli scali ferroviari hanno portato le persone a spostarsi». Finché non è rimasto più nessuno. E in molti di questi paesi oggi non potrebbe vivere più nessuno perché pericolanti o isolati dalle frane di un territorio in grave dissesto idrogeologico. È il caso di Cavallerizzo di Cerzeto, o di Oriolo, al confine tra Calabria e Basilicata, che ancora oggi continuano a venire giù come castelli di sabbia. Altri paesi sono difficilmente raggiungibili, costruiti in cima a una rupe o in fondo a un precipizio per non essere attaccati dai nemici. E che sono ancora inaccessibili ai più, mantenendo fede all’obiettivo iniziale.
L’emblema delle città abbandonate italiane è Civita di Bagnoregio, appoggiata da secoli su un colle di tufo, chiamata “la città che muore”. Per ogni frana (frequente), Civita perde un pezzo, restringendosi ogni giorno di più, cercando di sopravvivere abbarbicata a quel tufo. A collegarla con il resto del mondo, un ponte sospeso percorribile solo a piedi. Mai nessuna macchina ha varcato i confini del paese.
Sono luoghi che appartengono a un’altra geografia. Come Castiglioncello di Firenzuola, un paese abbandonato da tutti tanto da non essere collocato in nessuna regione, né in Emilia Romagna né in Toscana. Spesso non si trovano neanche sulle cartine geografiche, come Buonanotte, che pure Benedetto Croce aveva descritto come uno dei luoghi più nascosti d’Abruzzo. Qualcuno di questi paesi è anche in vendita, come l’isola di Poveglia, nella laguna di Venezia, adibita prima a lazzaretto per gli appestati e poi a manicomio durante il fascismo.

(Castiglioncello di Firenzuola)
Molto hanno fatto anche i collegamenti mancanti. Strade statali asfaltate che aggirano i paesi anziché collegarli, linee ferroviarie minori tagliate a favore di investimenti sulle linee principali e più remunerative «hanno causato trasferimenti forzati», dice Mocciola. Per raggiungere le città fantasma bisogna percorrere strade di ciottoli e sassi appuntiti, superare ponti stretti a picco nel vuoto o arrancare lungo scale ripidissime. Come i “2.886 gradini verso il cielo” che separano da Savogno, in Valtellina, dove ormai da decenni non vive più nessuno. «Chi abitava lì era abituato a percorrere tutti questi gradini», dice Mocciola, «oggi non lo siamo più».
E a volte anziché risanare i vecchi centri storici si è preferito costruire nuove città non troppo distante, spesso generando veri e propri scempi. «È quello che è successo a Matera, prima della riscoperta dei sassi, dove le amministrazioni locali hanno costruito una “finta Matera” a pochi chilometri dal centro, addirittura cercando di ricreare i sassi, senza tuttavia riuscirci». O nei paesi terremotati dell’Irpinia, dove anziché recuperare si è preferito radere al suolo per poi ricostruire. Lasciando in vita solo qualche chiesa, come ruderi inventati da tenere a distanza.
Molti dei paesi fantasma vivono spesso accanto alle proprie new town, come sorelle maggiori più brutte con le quali da anni non si rivolgono la parola. Frattura, in Abruzzo, che già nel nome porta la divisione tra vecchio e nuovo. Sotto, gli abusi edilizi degli anni Settanta e qualche pacchiano ristorante di pesce, sopra, in alto, il borgo abbandonato dopo il terremoto che devastò la Marsica nel 1915.
Negli ultimi anni qualche imprenditore straniero si è innamorato delle città fantasma italiane. Uno di questi è lo svedese Daniel Kihlgren che si è messo in testa di far rivivere Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, acquistandone una parte e realizzando un “albergo diffuso” nelle case prima abbandonate. E lo stesso progetto è in corso nella vicina Buonanotte, dove un re di passaggio con corte e scudieri trovò rifugio in una notte di vento e bufera chiamandola Malanoctem, salvo poi cambiare umore il giorno dopo. E anche il nome.
«Un’altra soluzione per far rivivere questi borghi potrebbe essere quella di aprirli agli immigrati che hanno bisogno di un posto in cui stare», dice Antonio Mocciola. E qualche esempio già esiste in Calabria, dove i profughi di ogni parte del mondo stanno facendo rivivere borghi poco abitati come Riace, Acquaformosa e Caulonia, da cui i giovani fuggono verso il Nord Italia alla ricerca di un lavoro. «È già accaduto nel Cinquecento, quando le popolazioni arbëreshë hanno fatto rifiorire paesi morti, che tutt’oggi mantengono le tradizioni albanesi».

(Santo Stefano di Sessanio)
Alcuni posti, come Galeria, alle porte di Roma, sono diventati la location per giochi di ruolo in costumi medievali. Altri, come Casacca, sono centri di ritrovo ideale per messe nere e riti satanici. La leggenda vuole che a Casacca un bambino venne murato vivo perché frutto di un’unione proibita tra un prete e una suora. Una maledizione che ha perseguitato i suoi abitanti tanto da accelerare l’abbandono del paese, fomentando così la fama di paese nero e maledetto.
Molti di questi paesi hanno storie romantiche e crudeli che sembrano uscite dalle pagine di un libro di fantasia. A Reneuzzi, ad esempio, il giovane Davide Bellomo non sopportava l’idea di perdere la ragazza che amava. Pazzo d’amore, di rabbia e di solitudine, portò la sua amata nel bosco e la uccise a colpi di roncola e poi si suicidò con la stessa arma. Il borgo era troppo piccolo e debole per sopportare quel dolore. I fantasmi dei due giovani convinsero gli ultimi pochi abitanti a scendere a valle, lasciando Reneuzzi al suo destino. Era il 1961, l’Italia era in pieno boom economico mentre un paese di spegneva. Qualche anno dopo Dario Argento avrebbe girato lì una scena di Profondo Rosso.
Tra le pieghe delle Alpi, invece, a Moggessa di qua e Moggessa di là, che non è una filastrocca ma il nome di un paesino friulano, si nasconde il segreto dei santuari à repit, del respiro, dove le madri portavano i neonati morti subito dopo il parto per cercare di salvarli. A Triora, in Liguria, torturavano le streghe accusate della morìa del bestiame. Ca’ Scapini, nell’appennino parmense, nasconde invece la vergogna di sette bambini forse malati lasciati a morire nel secondo dopoguerra tra le case abbandonate.
«Sono posti pieni di vita», dice Antonio Mocciola, «perché c’è la storia, che si sente mentre si passeggia nelle loro strade». Strade dove i navigatori satellitari non potranno guidarci. «Per trovarli bisogna usare ancora la parola, fermandosi a chiedere a qualcuno, una mappa o anche solo l’intuito. Al massimo ti perdi». Le intemperie del tempo e l’incuria, però, rischiano di risucchiarli per sempre nell’indifferenza generale. «Serve un piano di recupero e conservazione», dice Mocciola. «Un piano di riscoperta dell’Italia interna che oggi è solo l’ultima chance quando si decide dove passare un week end. Eppure le belle addormentate sono solo a poche curve da casa nostra».