Tanto per chiarire / Just to make it clear


Tanto per chiarire / Just to make it clear

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venerdì 27 agosto 2010

"C'è una crepa in ogni cosa". Quattro passi per Vukovar

"C'è una crepa in ogni cosa".
È un proverbio che si è imposto nella società di un fumetto futuribile (Nathan Never) dopo la devastante guerra fratricida tra il pianeta Terra e le stazioni orbitanti.
Viene dal fatto che ogni edificio reca i segni, più o meno profondi, del conflitto e della distruzione.
Ogni cosa ed ogni persona.

Sono a Vukovar, un tempo florido centro industriale della Jugoslavia unita. Oggi depressa cittadina croata di confine sulla riva del bel Danubio blu. La riva opposta è Serbia, il nemico che ha devastato la città per fiaccarne la resistenza indipendentista e l'ha abbandonata solo verso la fine del secolo scorso.

Passeggiando per queste strade mi è tornato in mente quel proverbio inventato da autori in un momento di genialità.

Qui sembra esserci un buco di proiettile o di mitraglia o di mortaio in ogni cosa.


Tra le case ricostruite, rimesse a nuovo, abitate... ve ne sono di distrutte, abbandonate in macerie, e moltissime nuove costruite in fretta, per necessità, spesso accanto alle macerie; mattoni a nudo, che non c'erano né il tempo né i soldi da perdere in intonaco. L'urgenza era abitarle dentro.
E dentro sono nuove, intonacate, arredate, abitate.
Fuori si finiranno quando ci saranno i soldi e il tempo.


Ma quelle che mi hanno colpito maggiormente sono le moltissime case le cui facciate decorate e ricche di stucchi sono oggi devastate dai proiettili di allora, ma dentro sono state ricostruite e sono tornate ad essere abitazioni, negozi, uffici...
...dietro una facciata piena di buchi di mitraglia.

Viene da chiedersi quanto per la comodità di spendere innanzitutto negli interni e quanto per l'intenzione di non dimenticare.


Sembra esserci una ferita in ogni cosa, e in ogni persona.
La collega con cui sono venuto è di Zagabria.
Le si rompe la voce a parlare di Vukovar. Di come la città è stata abbandonata per ragioni strategiche dai Croati di Franjo Tudjman (cui oggi è dedicata la strada principale, con relativa targa nuova sulle macerie vecchie); di come i Serbi hanno occupato la città sino al '97; di come questo centro un tempo florido oggi sia un posto desolato, con un'economia di sussistenza...


E la gente in strada sembra aver dimenticato... non pare avercela con i Serbi dell'altra riva, in fondo come loro trascinati in guerra da dirigenti senza scrupoli e che alla fine son rimasti con il cerino in mano.
Ma quando mi vedevano fotografare le ferite della loro città, potevi leggere negli occhi dei più anziani la voglia di raccontare... I ricordi riaffiorare.


Dev'essere stato un piccolo paradiso, in passato, ricco centro industriale di una florida ed orgogliosa nazione multiculturale, strategicamente importante e relativamente aperta, nonostante il regime.

Oggi la città rinasce e cresce. Gli edifici vengono restaurati o ricostruiti, le floride villette antiche rimpiazzate da ville più moderne, ma comunque ti senti nel buco del culo del mondo.
In una cittadina della provincia estrema di un Paese piccolo e poco importante il cui simbolo è oggi l'alta torre serbatoio idrico, con i buchi dei mortai Serbi lasciati a ricordare quello che è successo appena ieri.


E però dopo tutto la vita continua.
La notte i giovani escono e lungo il fiume fioriscono locali moderni e vivaci pieni di musica, drink, giovani e belle ragazze.
Una collega di Zagabria stamattina ci ha raccontato di aver fatto le quattro del mattino. :)
E vengono prese iniziative, come il festival cinematografico regionale per il quale sono qui, e nel quale "la Grande Salle" è una rugginosa chiatta da trasporto ancorata sul Danubio. La vista sull'altra riva, quella Serba. Il respiro affannoso per il caldo soffocante e l'umidità che è tale da formare banchi di nebbia a pochi metri d'altezza sul fiume che tanto sangue ha visto scorrere.


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